Indirizzo: Via Roma, 65    

Monumenti

TORRE CIVICA


 

Il complesso del Castello è di origine normanna, in origine aveva funzione di sorveglianza. Nel 1400 fu adibito ad abitazione per i funzionari regi. Il Castello aveva, in origine, una struttura nel suo insieme complessa, era di forma trapezoidale o rettangolare, a più livelli e doveva essere guarnito da almeno tre torri cilindriche, alte 10 m e con un diametro di 5m., disposte agli angoli della struttura a formare un semicerchio. Dalla seconda metà del 1500 cominciò a rovinare e gli abitanti usarono i suoi materiali per la costruzione delle proprie abitazioni. Oggi resta solo una delle torri che al suo interno “ospita” il meccanismo di un orologio costruito da specialisti francesi e ancora oggi funzionante.

PADRE GIACINTO OSSO DA BELMONTE

Al secolo Francesco Saverio Osso (Belmonte Calabro, 23 ottobre 1839 – Acri, 23 ottobre 1899), è stato un monaco cristiano, presbitero e scrittore italiano, appartenente all’Ordine dei Cappuccini. Francesco Saverio Osso nacque nella località Motta di Santa Barbara in Comune di Belmonte Calabro. Da Roma curò la riapertura di un Convento cappuccino ad Acri, e l’11 maggio 1893 fu uno dei promotori della fondazione della Basilica del Beato Angelo da Acri, nuova sede per i PP. Cappuccini. Nel 1897 tornò ad Acri da Roma, e trovò la Basilica del Beato Angelo già completata.


MONUMENTO A GIOVAN BATTISTA FALCONE

Il monumento si trova in Piazza Vittorio Emanuele il 2 luglio 1888
Anno di costruzione: 2 luglio 1888. Fu un patriota risorgimentale che immolò la sua vita alla causa di una patria libera dai dominatori stranieri.

Gian Battista Falcone nacque il 1836 ad Acri nel palazzo Sanseverino. Avendo rivelato sin da piccolo una notevole predisposizione per lo studio, i genitori pensarono di avviarlo al sacerdozio nel seminario di Bisignano, dove, però, rimase poco tempo. Infatti, ne fu espulso nel 1848 quando scoppiarono i moti risorgimentali. Egli era un fervente patriota e voleva liberare l’Italia meridionale dai borboni. Qualche anno dopo fu mandato a Napoli per compiervi gli studi: qui divenne amico di alcuni patrioti, fra cui il cosentino Agesilao Milano. Quest’ultimo, nel 1856, attentò alla vita del re Ferdinando II e fu giustiziato; per eludere i sospetti dei borboni, Falcone andò via da Napoli e si rifugiò prima a Malta, poi a Genova.

Qui, insieme a Pisacane da Napoli e Nicotera da San Biase, preparò la spedizione di Sapri, convinto che la popolazione meridionale li avrebbe affiancati nell’azione contro l’assolutismo borbonico. Il 25 giugno 1857, imbarcatosi sul piroscafo “Cagliari”, salpò da Genova con 22 compagni antiborbonici. Nella notte, essi s’impadronirono del piroscafo e si diressero a Ponza, dove liberarono i prigionieri, che si unirono a loro. Sbarcati a Sapri, non ebbero l’appoggio che essi speravano dalla popolazione del luogo e si diressero prima a Padula, poi a Sanza. Nel “Vallone del diavolo” si ebbe lo scontro con le truppe borboniche, appoggiate dai contadini, convinti che i patrioti fossero dei delinquenti. Pisacane e Falcone, per sfuggire alla violenza degli assaltori, scelsero la via del suicidio. Il corpo di Falcone, fu bruciato e non fu ritrovato.

Sulla base del monumento si può leggere: “A Gian Battista Falcone che con Nicotera e Pisacane compì la gloriosa spedizione di Sapri.

La costruzione del monumento in marmo va attribuita a Giuseppe Scerbo da Polistena (Reggio Calabria).

“A PèTRA E DU BIATANGIUDU”

(LA PIETRA DEL BEATO ANGELO)

Ai tempi del Beato Angelo, per accedere al territorio detto “Marulla”, bisognava attraversare un certo territorio denominato “Pompio”.

La strada mulattiera si biforcava: a destra per andare in Sila, a sinistra per recarsi a “Marulla” e proseguire verso Corigliano Calabro e la costa ionica.

Al punto della biforcatura, poco oltre la fonte di Pompio, secondo una tradizione attendibile e mai interrotta, c’era una grossa pietra ben larga alla base che formava una specie di schienale, costituito dal prolungamento in altezza della stessa pietra.

La tradizione vuole che il Beato Angelo avesse fermato miracolosamente con le proprie mani il masso che veniva giù dal colle sovrastante. Inoltre, si racconta che proprio su quella pietra il Beato si sedeva per riposare.

La pietra è ancora lì, in mezzo alla stretta strada comunale che sale verso la Sila Greca. Sporge dall’asfalto stradale ed è stata recintata per rendere la strada sicura e nello stesso tempo dare alla stessa importanza e, in più, salvaguardarla.

Gli anziani del posto affermano che la pietra sarebbe lunga tre o quattro metri e che su di essa vi siano impresse le impronte delle mani del Beato.

Altre voci dicono che più volte è stato provato di rimuoverla, per rendere la strada più sicura, ma ogni tentativo è fallito, si pensa per volontà dello stesso Beato Angelo.

Secondo attenti studi, la Pietra del Beato Angelo potrebbe trattarsi della leggendaria Pietra di Ercole di cui parlano le fonti classiche.

FIUME CALAMO


Il Calamo è un torrente della Calabria, situato nel territorio della città di Acri in provincia di Cosenza. È lungo 18 km.Il suo nome antico era Cadmo, poi Chaedu o Cheadomu o Caedomus, ed infine Chalamo; si ritiene connesso con la radice latina di “caedo” che significava abbattere gli alberi o fare le vittime in pezzi. Questo fiume attraversa tutta la città fino alla parte più bassa dell’antico quartier Iungie per poi precipitare in una cascata detta “Vullo di Iudii”(Pozza dei Giudei) di oltre duecentocinquanta metri, confluendo nel fiume Mucone; è probabile che il nome richiamasse il concetto di cascata o di cadere giù, precipitare. Il calamo, dal greco kàlamos (κάλαμος), è un pezzo di canna o giunco con un’estremità appuntita usata come penna dagli scribi antichi. Si dice che lungo le sponde crescevano molti giunchi. Il nome Cadamo potrebbe anche essere legato a questa parola.

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